Ormai cominciava ad albeggiare, le esplosioni che avevano rotto il silenzio durante tutta la notte non si sentivano più quando tutti gli abitanti di Vastogirardi, imbacuccati e avvolti nelle coperte perché era novembre, precisamente lunedi 8 novembre 1943 e il freddo si faceva sentire, con ansia e preoccupazione cominciarono a rientrare nelle case che in fretta e furia avevano abbandonato già dal pomeriggio, dopo essersi assicurati di aver lasciato le finestre aperte; perché era stato detto loro che lasciando le finestre aperte lo spostamento dell’aria causata dalle esplosioni sarebbe stato meno disastroso ed avrebbe causato meno danni alle abitazioni. Era stata lunga e pesante quell’ultima settimana di occupazione dell’esercito tedesco, era infatti dal mercoledì che la gente tutte le sere abbandonava le case e si disperdeva nelle campagne intorno al paese rifugiandosi nelle masserie e le caselle. Il motivo è che da diversi giorni quasi ininterrottamente il paese era attraversato da colonne di automezzi tedeschi in ritirata verso il nord Italia che, per proteggersi e rallentare l’avanzata delle truppe alleate, abbattevano tutti i ponti che attraversavano. Effettivamente, già dal mattino della domenica si era capito che le truppe tedesche stavano per abbandonare il paese e che avrebbero portato a compimento la minaccia di abbattere la casa di Nicola Grilli tramite deflagrazione di esplosivo depositato nella stalla della casa. Fu infatti verso la mezzanotte che si sentì la prima esplosione, non molto forte, ma solo perché proveniva dalla zona di Staffoli: era stato infatti il ponte di San Mauro il primo ad essere abbattuto. Seguì qualche ora di attesa snervante e carica di tensione e poi un nuovo boato molto più forte del primo, da qualche parte si riuscì a vedere anche la deflagrazione: questa volta era toccato al Ponte del Mulino, ed a breve distanza un’altra esplosione, questa volta a farne le spese era toccato al ponte de r’ Laquozz. Il momento tanto temuto si avvicinava, il comando Tedesco aveva in precedenza con determinazione riconfermato alle autorità del paese l’intenzione di abbattere la casa di Nicola Grilli, evento già riportato nel mio precedente racconto: “Vittime innocenti della guerra anche a Vastogirardi“. E così verso le prime ore del mattino di lunedì 8 novembre 1943 il destino della casa di “Colagrill” si compiva, dopo il boato della violenta esplosione che aveva scosso tutte le case del paese sopraggiunse il silenzio. L’occupazione dell’esercito Tedesco era finita e lentamente carica di sconcerto rabbia e preoccupazioni la popolazione rientrava in paese. Purtroppo i danni che si cominciarono a contare non furono pochi, diverse le case che risultarono danneggiate, alcune con danni non molto gravi come la mia dove crollò parte del solaio di una camera, altre, specialmente quelle nelle vicinanze dell’esplosione, i danni furono molto più consistenti, tali da costringere i proprietari a non poter rientrare nelle loro case per il rischio di crollo dell’intera struttura. Una delle case che ebbe gravi danni perché era crollato un muro fu l’abitazione al numero 5 di via 18 settembre abitata da Benedetto Izzi il quale insieme alla sua famiglia fu costretto a cercare un’altra sistemazione che fortunatamente trovò poco più giù nella stessa strada al civico 8 attuale abitazione di Emilio Di Santo.
Gli anni che seguirono non furono facili per nessuno e l’emigrazione riprese a crescere non solo verso gli Stati Uniti ed America del sud come l’Argentina e Venezuela ma anche verso il Canada ed altri paesi europei come Belgio e Svizzera. Nell’immediato dopo guerra si visse infatti un momento di estrema difficoltà, il lavoro era inesistente, e gli unici mezzi di sostegno per le famiglie restava l’agricoltura e l’allevamento del bestiame, bestiame che era stato difficile proteggerlo non solo dalle requisizioni dei soldati Tedeschi tenendolo nascosto durante il giorno e portarlo al pascolo solamente durante la notte ma anche dai furti. Infatti, il fenomeno dei furti di bestiame solo affievolito durante il periodo della guerra ma effettivamente mai scomparso riemerse con estrema vivacità. Grave ed imperdonabile resta il fatto che a commettere i furti erano cittadini di Vastogirardi e che quindi conoscevano le necessità ed i bisogni delle persone alle quali loro arrecavano il danno. Molti infatti furono i furti in quel periodo, alcuni cambiarono completamente la vita alle persone ed in certi casi ad intere famiglie.
Anche se sono passati molti anni, per ovvi motivi resta difficile affrontare questo argomento, però sono del parere che non si può far finta che non sia successo niente e quindi mettiamoci sopra un macigno e tutto scompare, vi rendete conto di cosa significava per l’economia di una famiglia già ai limiti della sopravvivenza, la perdita di una cavallo, di una giumenta, di un bue, di una mucca ?. E’ pur vero però che dopo tanti anni non è utile a nessuno riaprire delle ferite e creare situazioni imbarazzanti andando a parlare di persone, però i fatti accaduti sono parte della nostra storia e mi sembra giusto che vengano raccontati e ricordati.
Nei primi anni 50 qualcuno aveva fatto un calcolo approssimativo ed aveva stimato che in paese nell’ultimo decennio erano state rubate oltre cento bestie prevalentemente tutti animali da soma, quindi giumente, cavalli e muli. Ed ogni furto veniva accompagnato da un turbinio di supposizioni e voci incontrollate, ma purtroppo i nomi che si bisbigliavano, si dicevano e non si dicevano, erano sempre gli stessi. Io qui mi limito a riportare due significativi avvenimenti che ho avuto modo di apprendere da fonti sicure.
Fino al 30 ottobre 1946 i furti avevano riguardato sempre cavalli e muli, ma la notte del 30 ottobre 1946 da due stalle site in via 18 Settembre, una delle due stalle si trova proprio sotto casa mia e l’altra poco distante, furono prelevati 8 capi bovini, cinque mucche dalla stalla di Antonio Lucarino (Antonio d’musc) ed altre due mucche ed un bue dalla stalla di Nicola Izzi di Giuseppe. Quel giorno si era celebrato il matrimonio di Di Capita Naldo con Luisa Sparvieri.


Era il giorno che spettava a lui andare ad arare con i buoi e si era alzato presto quella mattina Nicola Izzi con l'intenzione di portare al pascolo oltre al bue che aveva in coppia con Nicola Di Serio anche le due mucche. Ho detto aveva in coppia in quanto all'epoca si usava che due persone, ognuna proprietaria di un bue, si accordavano, mettevano in comune i due buoi ed andavano ad arare un giorno uno ed un giorno l'altro. “Quando mi alzai" , mi raccontava mamma, "vidi dalla finestra Nicola fermo e rivolto verso la campagna ed ogni tanto si portava la mano aperta sulla fronte per proteggersi dai raggi del sole e scrutare meglio in lontananza, stette così tanto tempo poi andò via e poco dopo tornò e continuò a scrutare la campagna come aveva fatto prima, poi venne a bussare alla porta di casa nostra e ci chiese se avevamo notato o visto qualcuno che era andato a portar fuori gli animali “ Trascorse cosi l'intera mattina a cercar di capire che fine avessero fatto i tre capi bovini di Nicola Izzi e i cinque capi di Antonio Lucarino, ma purtroppo seguendo le tracce si intuì che sarebbe stato difficile ritrovare gli animali. Negli anni successivi, i furti continuarono e l’altro evento noto che portò non poche conseguenze avvenne la notte del 13 gennaio 1949, anche questa volta in paese si era celebrato un matrimonio e precisamente quello di Vincenzo Di Benedetto (detto Vincenzone) con Maria Carmela Inforzato. Da una stalla nelle vicinanze del lavatoio fu prelevata da due persone una cavalla di proprietà di Francesco Marchione, nonno della nostra farmacista, dottoressa Vincenza Marracino e mentre la portavano via, nei pressi dell’attuale edificio scolastico incontrarono un giovane che era appena uscito dalla casa della sua fidanzata. Il giorno seguente dopo svariate ricerche la cavalla non si trovò ma si trovarono ben evidenti le tracce del percorso fatto e quelle tracce portavano chiaramente ad un posto strutturato in modo da agevolare il carico di bestiame sui camion. Questo posto si trovava in contrada “la vecchia“ ed era chiamato in dialetto ”R’carcature“ purtroppo in quel periodo quel nefando posto fu adoperato molto spesso, anche le tracce dei bovini prelevati la notte del 30 ottobre 1946 si fermavano proprio lì. Dopo qualche settimana dall’accaduto, alla stazione dei carabinieri che, essendo non agibile la sede di San Pietro Avellana per aver subito danni durante un bombardamento del paese, si trovava in modo provvisorio proprio a Vastogirardi precisamente sopra la fontana nella casa del Comm. Nicomede Antonelli ed oggi abitazione di Rosetta e Marilena Izzi, arrivò una lettera anonima nella quale lo scrivente racconta che la notte del 13 gennaio lui era appena uscito dalla casa della fidanzata e nei pressi del lavatoio aveva incontrato due persone a lui note che portavano con loro la giumenta, lui aveva pensato che la giumenta stesse male non che si trattava di un furto. All’epoca, erano tre i giovani fidanzati che si sarebbero potuti trovare in quella zona, furono tutti e tre convocati dai carabinieri che non fecero altro che sottoporre a dettatura i tre giovani in modo da individuare la persona che aveva scritto la lettera. Ovviamente resta ignoto a noi il nome della persona che i carabinieri avevano ritenuto autore della lettera. Però nei giorni successivi al furto si erano verificati in paese altri fatti gravi e poco chiari a carico di uno dei tre giovani che non a caso era stato successivamente convocato in caserma e tali fatti vennero subito collegati al furto della giumenta. E’ stato necessario molto tempo per lenire le ferite, i rancori ed anche l’odio che si erano accumulati in quegli anni però oggi nessuno ci vieta di fare qualche valutazione; siccome le voci che circolavano erano che diverse persone si erano imbattute in fatti dello stesso tipo e quindi avevano visto e taciuto. Quali i motivi che li avevano spinti all'omertà? Noi oggi possiamo fare supposizioni: opportunità, amicizie o parentele, ma con determinazione possiamo affermare che quel giovane pur se in modo anonimo aveva scritto ai carabinieri, aveva dimostrato coraggio e senso di responsabilità. I furti di bestiame continuarono ad esserci e son durati almeno fin verso i primi anni 70 poi fortunatamente il fenomeno è scomparso.

L'ultimo episodio di questo difficile dopoguerra che merita di essere ricordato, avvenne nel pomeriggio del 13 agosto 1946. Per il nostro paese, paese di alta montagna, questo era il periodo della mietitura del grano.
La mietitura era uno dei lavori più sentito e difficile di tutta la fase della raccolta del grano, che deve essere mietuto ad una giusta maturazione e le attenzioni dei contadini erano tante. Ricordo ancora la preoccupazione della gente, quando c'era il grano maturo e si cominciavano a sentire i tuoni per l'avvicinarsi di qualche temporale, delle volte si facevano suonare a distesa le campane della chiesa nella speranza che le onde sonore potessero allontanare le nuvole e successivamente quando il grano era già mietuto, le corse ed il
lavoro per coprire con ogni mezzo le “reglie“. La reglia era un modo di accatastare e tenere assieme i covoni in attesa di essere trasportati con delle apposite strutture in legno chiamate carrucole sulla “tragliareccia“ luogo ove tradizionalmente si posizionava la macchina trebbiatrice. Non era ingiustificata tanta attenzione perchè in quel periodo, alla base dell'alimentazione giornaliera delle famiglie era ogni prodotto alla cui base c'era la farina e quindi un buon raccolto significava sicurezza per le famiglie e tranquillità specialmente per quei genitori che avevano famiglie numerose.
Anche nei miei ricordi dell'infanzia c'è la tragliareccia, prima che arrivasse la trebbiatrice sembrava un accampamento di indiani dove le reglie paragonabili a capanne erano tante e così fitte che si faceva anche fatica girarci in mezzo ma ambiente ideale per noi ragazzini che lì in mezzo giocavamo a nascondino. Arriviamo così al 13 agosto, una giornata come tante altre, la trebbiatrice funzionava già da qualche giorno, però non tutti avevano finito di mietere, era stata una bella mattinata ma nel pomeriggio si era alzato il vento, e mentre tutto sembrava svolgersi regolarmente, all'improvviso venne notato prima del fumo e subito dopo le fiamme sprigionarsi sopra una reglia. Immediatamente il panico in quanto si comprendeva che non c'era molto da fare considerando
la qualità e quantità del combustibile e l'assenza totale di mezzi idonei a spegnere le fiamme. Le persone, ormai tutte anziane ma che all'epoca erano adolescenti, che mi hanno raccontato questo triste evento, ricordano il pianto e le urla strazianti di tutte quelle persone che impotenti assistevano alla distruzione del loro vitale raccolto. In breve tempo, tutto venne avvolto dalle fiamme ed insieme al grano bruciò anche la trebbiatrice, si salvò il trattore che grazie al coraggio di un giovane del paese, Benedetto Di Benedetto che pur non avendo cognizioni di guida salì sul trattore e lo allontanò dalle fiamme. Nei giorni successivi all'evento, un turbinio di voci e supposizioni investì tutto il paese, si parlò di dispetto verso il proprietario della trebbiatrice, di dispetti tra cittadini del paese, ma per fortuna il dramma si concluse senza portare altre conseguenze perchè capirono che fatalmente il tutto poteva essere stato causato da una semplice scintilla fuoriuscita dal tubo di scarico del trattore utilizzato per movimentare la trebbiatrice.